Shotokan e Shotokai
Karate and Culture
SHOTOKAN e SHOTOKAI
Tratto da:
Storia del Karate – La Via della Mano Vuota 1995 Luni Editrice – Milano
da Kenji Tokitsu
(Pag. 72 – 78)
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Lo Shotokan
Riprendiamo brevemente le principali tappe del cammino di G. Funakoshi verso lo Shotokan:
1. Periodo del Meisei-juku (dal 1922 al 1924). Dopo la dimostrazione al Kodokan, nel 1922, G.Funakoshi comincia il suo insegnamento a Meisei-juku, il pensionato per gli studenti di Okinawa. Egli ottiene, come abbiamo visto, l’autorizzazione a utilizzare la sala conferenze di questa casa, che misura all’incirca 36mq. Durante il grande terremoto del 1924, questa casa è distrutta ed egli deve cercare un altro dojo.
2. Periodo del dojo Yushin-kan (dal 1924 al 1931), Hakudo Nakayama, celebre maestro di kendo dell’epoca, propone a G. Funakoshi di poter usare il suo dojo nelle ore in cui lo lascia libero. Ma l’attività del kendo aumenta e G. Funakoshi deve lasciare questo dojo dopo sette anni.
3. Periodo del Masagocho dojo (dal 1931 al 1938). Nel 1931 G. Funakoshiaffitta una piccola casa nel quartiere nel quartiere Masagocho, uno dei quartieri centrali di Tokyo. Nel giardino di questa casa fa posare delle assi di legno e vi dirige gli allenamenti. Un anno più tardi riesce ad affittare il pianterreno della casa vicina per farvi un dojo di 30mq.
4. Periodo dello Shotokan (dal 1938 al 1945). Il primo marzo 1938, il dojo Shotokan è costruito. Esso diventa il centro dell’insegnamento del karate di G. Funakoshi ed è frequentato da numerosi adepti fino all’inizio della seconda guerra mondiale. Sarà distrutto dal bombardamento del marzo 1945.
Perché il nome “Shotokan”?
G. Funakoshi componeva fin da giovane delle poesie che calligrafava
con notevole arte; egli aveva scelto come pseudonimo di calligrafo
Shoto (fruscio di pineta). Il suo paese natale era infatti dominato dal
castello di Shuri, che era prolungato da colline e da monti coperti da
foreste di pini. Questi formano una lunga catena chiamata Kobisan
(Monti della Coda di Tigre). G. Funakoshi aveva l’abitudine, in gioventù,
di passeggiarvi spesso, di giorno e anche di notte, al chiaro di luna o
sotto le stelle. Il fruscio dei pini lo accompagnava da allora. Firmando
Shoto le sue poesie calligrafate, il ricordo del canto della pineta lo
riportava ai sentimenti dell’infanzia e della giovinezza. E quando egli
sceglie Shoto come nome del suo dojo di karate, vuole ancora legare
l’immagine del fruscio della pineta alla via che segue nel karate.
“Amerei proseguire la via del karate, così come la vita, nella grazie della
verità intrinseca alla calma del fruscio dei pini”, scrive Funakoshi.
E’ nella primavera del 1938 che egli affigge l’insegna “Shotokan” (kan significa casa o dojo) davanti al suo dojo. Questo nome sarà in seguito utilizzato per designare la sua scuola. G. Funakoshi ha 70 anni. A partire da quest’epoca, egli stabilisce un sistema di “kyu” e di “dan” per designare i gradi degli allievi ed elabora i corsi che vengono tenuti dai suoi allievi anziani. Delega, in ogni università, la responsabilità dell’insegnamento anziano più avanzato nel karate, e quella del dojo Shotokan al suo terzo figlio, Yoshitaka. Il lavoro di Funakoshi consiste nell’andare ogni giorno nelle varie università per dare consigli e insegnare. Già più di una decina di università si sono affiliate allo Shotokan. La sua scuola comincia ad allargarsi al di fuori di Tokyo, con il trasferimento in provincia dei suoi allievi anziani. Funakoshi effettua quindi, di tanto in tanto, un viaggio d’insegnamento più o meno lungo.
Uno dei figli di G. Funakoshi, Yoshitaka, si è formato al karate con lo scopo di prepararsi a succedere a suo padre alla testa dello Shotokan.
Secondo H. Otsuka:
«… Il terzo figlio, Yoshitaka, è arrivato a Tokyo all’età di quindici anni circa. Dapprima ha lavorato come apprendista carpentiere a Senju, grazie alla raccomandazione di M. Yamada. Ma, pensando, che questo lavoro non gli si confacesse, M. Himotsu, all’epoca studente dell’università di Tokyo, lo ha invitato a studiare nel laboratorio di radiologia dell’università, dove ha ottenuto il diploma di tecnico di radiologia… Yoshitaka ha cominciato a praticare il karate per iniziativa di suo fratello maggiore Yoshishide, che è arrivato a Tokyo un po’ più tardi. Quest’ultimo lavorava in una piccola bottega situata al ministero delle finanze. E’ lui che ha persuaso suo padre e suo fratello minore della necessità di formare Yoshitaka come successore del padre, poiché questi invecchiava. Così Yoshitaka è rientrato a Okinawa per un soggiorno di un mese, poi ha cominciato a insegnare il karate-jutsu dopo aver lasciato il laboratorio di radiologia…Il termine Shoto è lo pseudonimo utilizzato dal Maestro Funakoshi per la calligrafia,arte nella quale era diventato esperto…»
Benché di salute cagionevole fin dall’infanzia, Yoshitaka diventa alla fine, al prezzo di sforzi appassionati, un esperto incontestabile della propria arte. Egli apporta al karate di suo padre parecchie modifiche, che quest’ultimo non sempre apprezza. Yoshitaka introduce maggiore ampiezza e dinamismo nell’esecuzione delle tecniche. Lo stile attuale dello Shotokan proviene più da Yoshitaka che da suo padre.
Ecco alcune testimonianze su questo punto e sulla personalità di Giochin Funakoshi.
F. Takagi (nato nel 1920), ex-segretario generale della WUKO (World Union of Karate-do Organisation): «Il Maestro Yoshitaka era incontestabilmente forte. Una parte importante del nostro karate Shotokan proviene da lui… G. Funakoshi non era un karateka, per lo meno non un tecnico del karate. Per noi era tanto un maestro di vita quanto un adepto di karate».
T. Watabe (nato nel 1917): «Ho sentito Noguchi ed Egami, che sono i miei superiori nello Shotokan, raccontare il seguente aneddoto. Un giorno, mentre il maestro G. Funakoshi passava sotto l’internato degli studenti ell’università, uno degli allievi di karate ha orinato dalla finestra del primo piano, e il Maestro Funakoshi ha ricevuto l’urina del proprio allievo direttamente sulla testa. Egami e gli altri allievi che accompagnavano il maestro, indignati e in collera, volevano rompere la testa a quello che aveva orinato. Allora il maestro Funakoshi ha detto: “Non dovete andare così in collera. E’ sufficiente che mi asciughi la testa”. Egami, che era così pronto all’azione, non ha potuto far nulla, dopo queste parole del suo maestro. Questo aneddoto illustra molto bene la personalità del maestro Funakoshi».
L’evoluzione tecnica e il combattimento libero nella scuola Shotokan
Yoshitaka Funakoshi prende l’iniziativa di introdurre l’esercizio del combattimento libero nel suo insegnamento, cosa che riesce male accetta a suo padre. Di fatto si acuisce sempre più il divario tra i modi di praticare e di insegnare il karate del padre e quelli del figlio, tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello morale.Yoshitaka e alcuni adepti dello Shotokan, nel corso di un viaggio a Osaka, fanno un allenamento comune con gli adepti di Goju-ryu. Essi organizzano un incontro di combattimento libero, cosa naturale in quell’epoca, in cui la tensione militarista era forte nelle giovani generazioni. Gli incontri tra le diverse scuole portavano facilmente allo scontro reale; per di più non vi era ancora alcuna regola per i combattimenti di karate. In breve, nel corso di questo combattimento la disfatta di Yoshitaka e dei suoi amici è innegabile. Secondo diverse testimonianze, è al ritorno da questo viaggio che Yoshitaka prende l’iniziativa di introdurre l’esercizio del combattimento libero nell’allenamento dello Shotokan, ed elabora tecniche e strategie per il combattimento libero. Il suo atteggiamento di ricerca dell’efficacia nel karate scava un fossato tra lui e suo padre.
Ecco la testimonianza che ho raccolto nel 1985 da H. Namekawa, professore di francese all’università Nihon, che fu allievo dello Shotokan durante la guerra:
«All’epoca ero un giovane principiante inesperto, allievo del Maestro Yoshitaka Funakoshi. Ci faceva molta paura. Era stato rimpatriato dalla Cina, probabilmente a causa del suo stato di salute, ed era già stato colpito dalla malattia di cui morì alcuni anni più tardi. Quando non era contento del nostro modo di eseguire gli esercizi, ci diceva con colera: “Credete che poteste uccidere degli uomini con queste tecniche pietose? Io ho ucciso con le mie mani numerosi cinesi quando ero in Cina. Non è facendo come voi che si arriva a uccidere”. Io avevo veramente paura, mi faceva pensare al muso di un toro. Ma, dopo il corso, suo padre lo chiamava in un angolo e gli parlava severamente: “Perché dici delle cose simili ai tuoi giovani allievi? E’ vergognoso. Il karate non è fatto per uccidere degli uomini, come tu pretendi di credere”. Mi ricordo del Maestro G. Funakoshi; era già anziano ed era una persona dolce e rispettabile».
«All’epoca ero un giovane principiante inesperto, allievo del Maestro Yoshitaka Funakoshi. Ci faceva molta paura. Era stato rimpatriato dalla Cina, probabilmente a causa del suo stato di salute, ed era già stato colpito dalla malattia di cui morì alcuni anni più tardi. Quando non era contento del nostro modo di eseguire gli esercizi, ci diceva con colera: “Credete che poteste uccidere degli uomini con queste tecniche pietose? Io ho ucciso con le mie mani numerosi cinesi quando ero in Cina. Non è facendo come voi che si arriva a uccidere”. Io avevo veramente paura, mi faceva pensare al muso di un toro. Ma, dopo il corso, suo padre lo chiamava in un angolo e gli parlava severamente: “Perché dici delle cose simili ai tuoi giovani allievi? E’ vergognoso. Il karate non è fatto per uccidere degli uomini, come tu pretendi di credere”. Mi ricordo del Maestro G. Funakoshi; era già anziano ed era una persona dolce e rispettabile».
Ichizo Otake (nato nel 1905) evoca i suoi ricordi di G. Funakoshi: «Questo succedeva, credo, nel 1928: mi stavo cambiando dopo l’allenamento al dojo di Meisei-juku, quando arrivarono quattro allievi più avanzati. Quando li ho salutati, essi mi hanno detto: “Andiamo a mettere alla prova l’arte del Maestro tendendogli un agguato, vieni a guardarci.” Li ho seguiti dicendomi: “Toh, è divertente.” Ero giovane. Ben presto il Maestro Funakoshi arriva, esce dall’allenamento, si asciuga il sudore dalla fronte, si avvicina a noi con un gentile sorriso. A un tratto, tre dei miei superiori lo circondando tirandogli pugni e calci. Non erano attacchi portati con la volontà di uccidere, ma erano sufficientemente seri, tirati da Karateka ben allenati. Il Maestro, sorpreso, ha prima preso l’attacco come uno scherzo e ha schivato sorridendo. Ma ha capito molto presto l’intenzione dei suoi allievi. Il suo viso è arrossito e ha lanciato dei kiai, ho allora avuto l’impressione che il suo piccolo corpo fosse diventato tutt’a un tratto molto grande. E quando ha compiuto alcuni movimenti circolari, i miei superiori si sono accovacciati tenendosi il gomito o il ginocchio. Perché le parate del maestro erano talmente dure che avevano l’impressione di venir colpiti con una sbarra di ferro. Uno di loro ha gridato: “Abbiamo apprezzato la sua tecnica, Maestro. Ci scusi, per favore”.
Il maestro ha gridato: “Idioti!”, e si è ritirato nella sua camera di tre tatami dopo averci lanciato uno sguardo incollerito.
Per un certo tempo sono rimasto inerte, sentendo un grandissimo rimorso. Poi sono andato a vedere il Maestro. Sono rimasto un momento esitante davanti alla sua porta, e alla fine ho domandato timidamente il permesso si vederlo. Mi ha detto di entrare. Entrando, ho abbassato profondamente la testa per scusarmi, ma ero incapace di articolare una parola. Il Maestro ha detto, con una voce leggermente più forte del solito: “Testare la capacità del maestro è totalmente in disaccordo con la via. La passione del budo non deve condurre a ciò. Questo non è lo spirito del budo”. Ero ancora incapace di pronunciare parola, coperto di sudore freddo. Dopo un momento, il maestro disse: “Andiamo a fare il bagno”.
… Più tardi, ho fatto ancora una volta una cosa che è dispiaciuta al Maestro. In quell’epoca, in molte università, alcuni studenti cominciavano a fare combattimento libero e a confezionare delle armature di protezione… Alcuni mescolavano il pugilato inglese con il karate e io ne facevo parte. Un giorno ho sentito dire che il Maestro Funakoshi era molto in collera e stava per escluderci dal suo dojo. Sconvolto, mi sono precipitato dal Maestro.. Egli mi ha detto con calma: “Capisco che non siate soddisfatti dei kata e degli esercizi convenzionali di combattimento, ma questo dipende da una vostra mancanza di approfondimento dell’arte. Nel karate, come budo, il combattimento significa “il combattimento a morte”. La boxe inglese è stata elaborata come sport, eliminando le tecniche pericolose: colpi di gomito, uraken ecc. Quali che siano le armature che metterete a punto, fare il karate come competizione vi farà deviare dalla via.” Dopo un momento ha aggiunto: “…Ma penso che nella boxe inglese vi siano dei modi di stare in guardia e degli spostamenti che valgono la pena di essere studiati. Se è in questo senso che desiderate impararla, vi raccomando di praticare la boxe come boxe, senza mescolarla con il karate”. Sono stato commosso dalla sua perspicacia e dalla sua comprensione».
Il maestro ha gridato: “Idioti!”, e si è ritirato nella sua camera di tre tatami dopo averci lanciato uno sguardo incollerito.
Per un certo tempo sono rimasto inerte, sentendo un grandissimo rimorso. Poi sono andato a vedere il Maestro. Sono rimasto un momento esitante davanti alla sua porta, e alla fine ho domandato timidamente il permesso si vederlo. Mi ha detto di entrare. Entrando, ho abbassato profondamente la testa per scusarmi, ma ero incapace di articolare una parola. Il Maestro ha detto, con una voce leggermente più forte del solito: “Testare la capacità del maestro è totalmente in disaccordo con la via. La passione del budo non deve condurre a ciò. Questo non è lo spirito del budo”. Ero ancora incapace di pronunciare parola, coperto di sudore freddo. Dopo un momento, il maestro disse: “Andiamo a fare il bagno”.
… Più tardi, ho fatto ancora una volta una cosa che è dispiaciuta al Maestro. In quell’epoca, in molte università, alcuni studenti cominciavano a fare combattimento libero e a confezionare delle armature di protezione… Alcuni mescolavano il pugilato inglese con il karate e io ne facevo parte. Un giorno ho sentito dire che il Maestro Funakoshi era molto in collera e stava per escluderci dal suo dojo. Sconvolto, mi sono precipitato dal Maestro.. Egli mi ha detto con calma: “Capisco che non siate soddisfatti dei kata e degli esercizi convenzionali di combattimento, ma questo dipende da una vostra mancanza di approfondimento dell’arte. Nel karate, come budo, il combattimento significa “il combattimento a morte”. La boxe inglese è stata elaborata come sport, eliminando le tecniche pericolose: colpi di gomito, uraken ecc. Quali che siano le armature che metterete a punto, fare il karate come competizione vi farà deviare dalla via.” Dopo un momento ha aggiunto: “…Ma penso che nella boxe inglese vi siano dei modi di stare in guardia e degli spostamenti che valgono la pena di essere studiati. Se è in questo senso che desiderate impararla, vi raccomando di praticare la boxe come boxe, senza mescolarla con il karate”. Sono stato commosso dalla sua perspicacia e dalla sua comprensione».
Lo Shotokan dopo la seconda guerra mondiale
Nel 1945 il dojo Shotokan, sette anni dopo la sua costruzione, è annientato sotto i bombardamenti americani; Yoshitaka si ammala gravemente. La guerra termina, lasciando il Giappone in un disordine desolante. G. Funakoshi, a 77 anni, lascia Tokyo per raggiungere sua moglie che si era rifugiata a Oita (nel sud del Giappone). Essi si ritrovano dopo una lunga separazione e vivono insieme coltivando da soli della verdura e raccogliendo molluschi e alghe in riva al mare. La vita non è certo facile, ma finalmente sono insieme.
Due anni più tardi, nel 1947, sua moglie si ammala improvvisamente e muore poco tempo dopo. Prima di morire gli domanda di coricarla in modo che prima la sua testa si trovi in direzione di Tokyo, poi nella direzione di Okinawa. Scrive G. Funakoshi: “Ha pregato l’Imperatore, e ha detto addio ai suoi figli che vivevano a Tokyo, poi ha salutato i suoi antenati che sono sepolti ad Okinawa. Questa fu la fine di mia moglie, che aveva fatto di tutto perché io potessi proseguire nella via del karate”.
Effettivamente, coricarsi con la testa nella direzione di qualcuno è un segno di rispetto, girare i piedi nella sua direzione è un’offesa. Possiamo vedere in questo atto l’addio della signora Funakoshi, la concretizzazione di un modello culturale di prima della guerra che, anche se non è più messo in pratica, resta in fondo alla coscienza dei Giapponesi contemporanei.
In questo stesso 1947, Yoshitaka, il figlio al quale aveva affidato lo Shotokan, muore anche’egli. G. Funakoshi ha l’impressione di aver perduto tutto con la guerra. Tuttavia gli studenti hanno ripreso l’allenamento all’università, malgrado l’atmosfera di depressione che investe tutto il Giappone dopo la disfatta, e gli allievi anziani sopravvissuti ai campi di battaglia cominciano a ritornare. G. Funakoshi,a 80 anni, ritorna a Tokyo. I suoi allievi anziani usciti da università diverse cominciano a raggrupparsi per riformare la scuola Shotokan. Nel 1949 si costituisce la Japan Karate Association(J.K.A.) con alla testa Gichin Funakoschi, dell’età di 81 anni.
Sembra, per un momento, che l’unità della scuola sia stabilita. Ma, dagli inizi degli anni Cinquanta, le divergenze di opinione sui modi di praticare e di insegnare il karate, e anche sull’organizzazione della scuola, suscitano conflitti. Il numero dei praticanti continua tuttavia ad aumentare di anno in anno. Le contraddizioni in seno alla scuola scoppiano quando Gichin Funakoshi muore nel 1957, all’età di 89 anni.
Tratto da:
Storia del Karate – La Via della Mano Vuota 1995 Luni Editrice – Milano
(Pag. 72 – 78)
Storia del Karate – La Via della Mano Vuota 1995 Luni Editrice – Milano
(Pag. 72 – 78)